giovedì 8 luglio 2010

PERSONAGGI della storia

L’importanza del gioco era già stata riconosciuta presso i Greci e i Romani, ma si trattava di una materia di studio, il gioco non era né spontaneo né piacevole.

L’idea di introdurre il gioco nel campo educativo risale a Rousseau. Prima di lui la scuola era concepita solo per un lavoro serio e disciplinato, dove l’allievo doveva imparare a memoria determinate nozioni e acquisire determinati comportamenti, in un clima di severità, ubbidienza e distacco.

Grazie ai pedagogisti moderni, si realizzò un’impostazione psicologica ed educativa dei giochi infantili.

Froebel, ad es., mette a disposizione dei bambini, riuniti nel “giardino d’infanzia” (la loro scuola), una serie di “doni” capaci di stimolare l’attività simbolica, evocativa, fantastica del bambino (ad es. egli pensava che la sfera potesse far maturare nel bambino l’idea del movimento, il cubo l’idea del riposo, ecc.). Quando ci si accorse che i “doni” erano troppo astratti, che il bambino ha bisogno di giocare con cose più agganciate alla sua vita quotidiana, si capì che i giochi imposti dall’insegnante ostacolavano la spontaneità e l’iniziativa individuale.

La Montessori ha cercato di graduare il materiale ludico alla maturità psicologica del bambino, col fine specifico di sviluppare le funzioni senso-motorie. Il bambino cioè veniva educato a riconoscere, attraverso il gioco, le sue diverse attività senso-motorie. Tale modalità di uso del materiale ludico poteva, però, sminuire il valore delle idee tipiche della vita infantile.

Dewey, Decroly, Claparède hanno cercato di fare del gioco un mezzo per sviluppare integralmente la vita psico-fisica del bambino.

Volpicelli ha sostenuto che il gioco è qualcosa di più di un’attività: «è l’aspetto creativo della vita, per quel che ha di nuovo e di personale, oltre la ritualizzazione, di quanto è ormai oggettivo e convenuto». Egli ha anche affermato che la creatività del gioco caratterizza il bambino nel suo modo di essere, di adattarsi all’ambiente, di crescere e di esprimere la sua umanità, «mentre l’arte è veramente creatrice, quando, distaccata dal suo artefice, attinge vita oggettiva».

In accordo a questa prospettiva Mencarelli ritiene che il gioco è per il bambino un modo di vivere, “giocando” egli esercita tutti i suoi poteri, «senza dispersioni, senza sperperi, senza precocismi».

Richter asserisce che il gioco ha un ruolo centrale nella dinamica inerente allo sviluppo dell’intelligenza. Pertanto il gioco è un’attività seria.

Jean Piaget e Sigmund Freud hanno evidenziato che l’attività ludica inizia quando il bambino prende coscienza dell’esistenza delle persone e delle cose che lo circondano.

Claparède ribadisce che un bambino che non sa giocare è in un adulto incapace non solo di pensare e di ragionare, ma anche di agire responsabilmente.


Fonte:http://www.ipbz.it/Generale/VisualizzaDescrSezione.aspx?area=6&id=739

martedì 6 luglio 2010

TEORIE PSICOLOGICHE/BIOLOGICHE



Queste teorie cercano di spiegare la ragione che spinge l’individuo a giocare:

1. Gioco come “sfogo” cioè il soggetto dispone di una così grande carica energetica che ha bisogno di scaricare, facendo qualunque tipo di gioco. È stato però osservato che a volte il bambino gioca anche dopo l’insorgere della stanchezza; inoltre la teoria, non spiega il motivo per cui un bambino sceglie un gioco piuttosto che un altro.
2. Gioco come residuo di funzioni ataviche, secondo cui il soggetto riproduce spontaneamente alcune attività che oggi appaiono inutili. Ad es. la lotta soddisfa una tendenza ancestrale; attuandola il soggetto se ne libera, in quanto considera l’avversario un partner indispensabile. Trascorrere giocando tra bambini molto tempo nell’infanzia aumenta le probabilità di socializzare soddisfacentemente da adulti. Ciò in base alle considerazioni teorizzate da Haeckel nella sua legge bio-genetica, secondo la quale lo sviluppo dell’individuo ricapitola l’evoluzione della specie (ad es. bambino = uomo primitivo). Questa teoria può, però, spiegare giochi come la lotta, la corsa, l’inseguimento, la caccia..., ma non può spiegare molti altri giochi frutto dell’imitazione dell’adulto da parte del bambino.
3. Gioco come sfogo e sviluppo, secondo cui da un lato esso sviluppa e conserva le funzioni utili alla vita adulta e, dall’altro, agisce come una valvola di sicurezza per scaricare l’energia di alcune tendenze antisociali che l’individuo si porta con sé dalla nascita.
4. Gioco come esercizio preparatorio, secondo cui l’attività ludica ha il compito di esercitare funzioni biologiche che saranno poi utilizzate nella vita adulta (ad es. il gattino salta sul gomitolo che gli rotola davanti e lo addenta, come in seguito farà col topo). Questa teoria è stata accettata da pedagogisti come Frobel, Claparède e Decroly.

Fonte: http://www.ipbz.it/Generale/VisualizzaDescrSezione.aspx?area=6&id=739

domenica 4 luglio 2010

I GIOCATTOLI


Spesso per tradurre in concreto le loro immaginazioni i bambini hanno bisogno di oggetti. Possiamo definire giocattoli “quei materiali che ispirano, sollecitano, stimolano il gioco”. Alcuni giocattoli (bambole, orsacchiotti, oggetti morbidi e caldi), secondo la maggior parte degli studiosi, sono insostituibili: essi rappresentano, per i bambini e le bambine, simbolicamente la figura del genitore e, nei momenti di frustrazione, gli amici con cui dialogare. I bambini durante il gioco si divertono, ma nello stesso tempo fanno qualcosa di serio, pur se gli adulti faticano a riconoscerlo. La televisione propone giocattoli che soffocano la spontaneità dei bambini, tutti devono giocare con gli stessi oggetti. È un condizionamento precocissimo all’uniformità, al subire la moda. Il giocattolo può facilitare la conoscenza della realtà contribuendo a liberare le capacità immaginative del bambino, sollecitando una «forte attività di rappresentazione mentale…». I giochi standard o imposti dal marketing uccidono l’immaginazione. Non c’è giocattolo che possa stimolare le capacità ludiche e creative del bambino e introdurlo al gusto di far da sé, di inventare, di giocare collocandosi nella prospettiva del “come se”, più degli elementi naturali (sabbia, acqua). Alcuni giochi possono essere occasione di autentico divertimento e stimolano la ricerca di compagni di gioco. Il valore di questi giochi è dovuto anche alla povertà dei materiali con cui sono costruiti. È proprio a causa della loro semplicità che lasciano grande spazio alla fantasia e, i bambini, di fantasia ne hanno da vendere. Al contrario i giochi moderni mettono da parte il bambino. Il giocattolo svolge un ruolo di facilitazione dello sviluppo del linguaggio gestuale e verbale; esso è bene che sia “un po’ incompleto” ma non grossolano, né troppo approssimativo riguardo alla fedeltà nella riproduzione della realtà, perché «il giocattolo incompleto stimola il bambino alla costruzione di accessori e quindi a sempre nuove e diverse situazioni di gioco». È superfluo ricordare che il bambino usa sia il materiale formale che informale o separatamente o insieme per costruire la “sua realtà”, il mondo del “come se…” di cui egli è indiscusso regista… Pertanto la qualità del giocattolo è data dalla qualità del rapporto che si instaura tra lui e “l’oggetto”. Per favorire un rapporto creativo tra il bambino, il gioco e il giocattolo è indispensabile riconoscere i bambini come soggetti attivi, originali, intraprendenti, attori della loro crescita e della loro educazione, desiderosi di crescere e di affermare la loro umanità.

Fonte:http://www.ipbz.it/Generale/VisualizzaDescrSezione.aspx?area=6&id=739
Immagine: http://images02.olx.it/ui/2/49/64/19244564_3.jpg

domenica 27 giugno 2010

GIOCO E ADULTO

Negli ultimi decenni è stata data molta importanza alle relazioni familiari, al loro influsso sulla personalità e sulla socializzazione dei bambini. Esse infatti agiscono come rinforzo e come motivazione per il raggiungimento di nuovi obiettivi educativi. Il gioco è la migliore forma di attività infantile, necessaria per tutti i bambini quindi è bene utilizzarla correttamente per favorire il loro sviluppo globale. Uno studio recente sui giochi più adatti ad ogni singola età, ha messo in rilievo che nei primissimi anni di vita, il gioco più apprezzato ed amato dal bambino è normalmente sua madre o, in via del tutto eccezionale, “quella” persona adulta che si prende cura di lui. Il bambino fin da piccolo avverte un fascino speciale nei confronti della madre, per esempio quando ascolta la sua voce, quando lo accarezza. La mamma, per il bambino, è tutto ed è per questo che spesso si sente affermare che la madre è un “giocattolo universale”. La funzione dell’adulto è primariamente quella di osservare ed ascoltare il bambino, per riuscire a cogliere i suoi ritmi e le sue iniziative, poi di aiutarlo a dare un nome alle cose ed un senso alle azioni. L’adulto dovrebbe avvicinarsi al bambino che gioca, accettare di essere suo complice o compagno nelle avventure sognate, creando un’attività ludica, lo spazio, il modo, i materiali, gli accessori, gli spunti per giocare, costruire, collezionare, sperimentare, disegnare, recitare. Non è utile organizzare o capire, ma piuttosto stare insieme al bambino quando si diverte. Oggi purtroppo viviamo in un’epoca in cui molti genitori e molti madri, a causa del lavoro, non hanno molto tempo a disposizione da dedicare ai loro figli. Tutto questo crea fratture nella comunicazione tra genitori e figli. Infatti il gioco unisce i bambini agli adulti e viceversa. Si può affermare che giocare è il miglior modo di educare ed è ingenuo pensare che basti lasciar giocare i bambini o farli giocare. Mandare il bimbo a giocare da solo nella sua stanza può sembrare come una “punizione” e può sentirsi messo da parte, isolato o scaricato. L’adulto che partecipa al gioco dei bambini garantisce i confini e la sua presenza sembra dare tono al gioco. Il gioco è basilare per crescere anche quando si è cresciuti. Giocare e mettersi in gioco fa ritrovare la nostra vera anima, permette di ritrovarsi nell’intimo, aiuta ad allentare le tensioni, fa sentire vivi e pulsanti. È importante continuare a giocare, a qualunque età, per rilassarsi e per stare con gli altri.


Fonte: http://www.ipbz.it/Generale/VisualizzaDescrSezione.aspx?area=6&id=739

giovedì 24 giugno 2010

IL RUOLO DELL'ADULTO


Il gioco vede non solo il bambino, ma anche l’adulto, coinvolto sia come giocatore sia come trasmettitore di valori ludici. Il gioco per l’adulto è visto come svago, divertimento, ricreazione, vacanza, tempo libero. Il gioco invece consente al bambino di proiettarsi nel futuro, di prospettarsi diverso da come è. Se per l’adulto il gioco è regressione, per il bambino è crescita, ma la matrice è comune: il primato della soggettività nella fruizione/creazione simbolica. In questo senso Bondioli propone una pedagogia del gioco che ritiene ancora tutta da inventare, ma già presente nei contesti prescolari, intesa come educazione sentimentale cioè rivolta all’ascolto dell’interiorità infantile attraverso una condivisione partecipata che ha come principali finalità la costruzione dell’identità personale, la promozione dell’autonomia e della progettualità, il governo pulsionale, l’accesso alle realtà simboliche, il decentramento empatico al di là del fatto che ovviamente il bambino attraverso il gioco conosce, sviluppa le proprie capacità e si introduce nelle relazioni. I compiti dell’adulto sono quindi non quelli del maestro, o dell’istruttore o del divulgatore, ma quelli del COMPAGNO ESPERTO capace di condividere un’area di esperienza e di contribuire ad arricchirla. Bondioli (Bondioli, A. Gioco e educazione, cit.) dedica quindi un’ampia disamina dei diversi contributi circa il ruolo dell’adulto nel gioco infantile, distinguendo tra educatore e terapeuta, ma approfondendo l’idea che a giocare s’impara giocando con un adulto che condivide il gioco del bambino e il piacere che ne deriva, lo valorizza, lo sostiene e, per certi versi lo guida, senza prevaricare.

Fonte: fenal.it/doc/asilonido/Il%20gioco.doc

sabato 19 giugno 2010

L'osservazione dei bambini nei spazi-gioco


Le scuole dell’infanzia di Montichiari, quest’anno vogliono puntare l’attenzione sull’osservazione come modalità per la costruzione di nuovi spazi/ambienti sia interni alle sezioni che esterni. Metteremo a fuoco i momenti che precedono l’osservazione, il durante, e il dopo.
PRIMA DELL’OSSERVAZIONE
Per prima cosa è necessario mettere a disposizione del bambino spazi, tempi, materiali per giocare con i coetanei ed arricchire gli angoli con materiali familiari. Lo spazio favorevole all’evoluzione del gioco simbolico è uno spazio “protetto”.
DURANTE L’OSSERVAZIONE
Avendo come obiettivo l’osservazione degli spazi utilizzati dai bambini durante i giochi simbolici, risulta di primaria importanza tener conto di tre elementi: non è detto che il gioco simbolico si manifesti QUANDO noi lo desideriamo e siamo pronti ad osservarlo, infatti, in quanto gioco, è un’attività spontanea, cioè liberamente scelta e scelta per il piacere di svolgerla. Non è detto che si manifesti COME noi ce lo aspettiamo, è necessario quindi evitare che l’occhio dell’osservatore sia guidato da ciò che si aspetta d’osservare che da ciò che “effettivamente”scorre sotto gli occhi. Non è detto che il bambino inoltre giochi sempre al meglio delle sue possibilità: lo stesso bambino può giocare in modo più o meno ricco o povero a seconda del contesto specifico in cui si trova; Winnicot (1971) a questo proposito afferma che il bambino si dedica a un gioco profondamente creativo solo se rilassato, ed è rilassato solo se gioca di fronte ad un adulto di cui si fida.
DOPO L’OSSERVAZIONE
I protocolli osservativi verranno successivamente esaminati dagli insegnanti per cogliere quegli elementi che saranno più ricorrenti, interessanti, e curiosi per poi determinare l’evoluzione degli spazi.
QUANDO OSSERVARE
L’osservazione dell’utilizzo durante il gioco dei vari angoli, avverrà in giorni scelti dagli insegnanti.
I TEMPI DELL’OSSERVAZIONE
I bambini devono avere a disposizione, per garantire la qualità del gioco, almeno trenta minuti o anche più affinché il gioco si evolva.

Fonte: http://www.infantiae.org/giocomarcolini.asp

mercoledì 16 giugno 2010

18-36 mesi e oltre


In quest’ultima fascia d’età che propongo si afferma e si evolve il gioco simbolico: le rappresentazioni mentali più stabili degli oggetti e delle azioni si arricchiscono dei significati ad essi attribuiti dal contesto socio-culturale di appartenenza, le manifestazioni diventano sempre più ricche ed evolute rispetto a cinque dimensioni:
1- capacità di decontestualizzazione, cioè di pensare e comportarsi in modo sempre più indipendente dalle caratteristiche della realtà percepita (se riproduco una certa situazione: gioco a mamma e papà a casa mia, sono in un certo contesto più vicino alla realtà; gioco a mamma e papà al nido in una casetta, sono abbastanza lontano ma ancora vicino; gioco a mamma e papà su un tappeto, sono sempre più lontano; il processo mentale è più evoluto, e così anche lo sviluppo affettivo e sociale).
2-capacità di decentramento, cioè di tenere sempre più in considerazione i punti di vista diversi dal proprio. Utilizzo dell'oggetto come essere animato (il bambolotto diventa un bambino allora ha anche un proprio pensiero, allora il bambino interpreta i suoi punti di vista ma anche quelli del bambolotto che gli dice di fare qualcosa, quindi il bambino risponde, oppure dice o fa fare qualcosa al bambolotto), spesso prima si usa il fratellino o il compagno più piccolo oppure far finta di avere un bambino in braccio e di portarlo in giro e di riversare su questo bambino ipotetico pensieri, sentimenti e punti di vista.
3-capacità di integrazione cioè di articolare sempre più elementi in modo sempre più coerente (è importante allestire altri ambienti per far agire altri ruoli, per stimolare altre azioni, eventi conosciuti o contesti immaginari (l'ufficio o la giungla... mamma e papà: due bambini giocano a preparare la pappa, si siedono e mangiano, vado io a cucinare qualcosa -il copione è invertito-, mangiano, poi lavano i piatti -il copione si arricchisce-, vanno a letto).
4-capacità di controllo dell'esecuzione, cioè di utilizzare il linguaggio per pianificare, guidare, e condividere l'esecuzione dei propri progetti (ci sono dei bambini che mentre giocano parlano("adesso lavo i piatti perché c'è disordine") il bambino prevede, guida le sue azioni esprimendo e controllando l'esecuzione e può anche verbalizzare e socializzare dicendo: dai, vai a lavar i piatti che non si può far da mangiare perché sono ancora sporchi.
5-capacità sociale, cioè di orientare, condividere, coordinare sempre più le proprie intenzioni e i propri comportamenti da quelli altrui (area cooperativa, conflittuale da negoziare: se un bambino dice: "vai a lavare i piatti" e l'altro risponde:" io non li lavo perché li ho già lavati prima" il primo deve negoziare).

Fonte: http://www.massaggiocreattivo.com/gioco_simbolico.htm
Immagine: http://www.tuttoggi.info/media/images/15935/norcianido1.jpg