L’importanza del gioco era già stata riconosciuta presso i Greci e i Romani, ma si trattava di una materia di studio, il gioco non era né spontaneo né piacevole.
L’idea di introdurre il gioco nel campo educativo risale a Rousseau. Prima di lui la scuola era concepita solo per un lavoro serio e disciplinato, dove l’allievo doveva imparare a memoria determinate nozioni e acquisire determinati comportamenti, in un clima di severità, ubbidienza e distacco.
Grazie ai pedagogisti moderni, si realizzò un’impostazione psicologica ed educativa dei giochi infantili.
Froebel, ad es., mette a disposizione dei bambini, riuniti nel “giardino d’infanzia” (la loro scuola), una serie di “doni” capaci di stimolare l’attività simbolica, evocativa, fantastica del bambino (ad es. egli pensava che la sfera potesse far maturare nel bambino l’idea del movimento, il cubo l’idea del riposo, ecc.). Quando ci si accorse che i “doni” erano troppo astratti, che il bambino ha bisogno di giocare con cose più agganciate alla sua vita quotidiana, si capì che i giochi imposti dall’insegnante ostacolavano la spontaneità e l’iniziativa individuale.
La Montessori ha cercato di graduare il materiale ludico alla maturità psicologica del bambino, col fine specifico di sviluppare le funzioni senso-motorie. Il bambino cioè veniva educato a riconoscere, attraverso il gioco, le sue diverse attività senso-motorie. Tale modalità di uso del materiale ludico poteva, però, sminuire il valore delle idee tipiche della vita infantile.
Dewey, Decroly, Claparède hanno cercato di fare del gioco un mezzo per sviluppare integralmente la vita psico-fisica del bambino.
Volpicelli ha sostenuto che il gioco è qualcosa di più di un’attività: «è l’aspetto creativo della vita, per quel che ha di nuovo e di personale, oltre la ritualizzazione, di quanto è ormai oggettivo e convenuto». Egli ha anche affermato che la creatività del gioco caratterizza il bambino nel suo modo di essere, di adattarsi all’ambiente, di crescere e di esprimere la sua umanità, «mentre l’arte è veramente creatrice, quando, distaccata dal suo artefice, attinge vita oggettiva».
In accordo a questa prospettiva Mencarelli ritiene che il gioco è per il bambino un modo di vivere, “giocando” egli esercita tutti i suoi poteri, «senza dispersioni, senza sperperi, senza precocismi».
Richter asserisce che il gioco ha un ruolo centrale nella dinamica inerente allo sviluppo dell’intelligenza. Pertanto il gioco è un’attività seria.
Jean Piaget e Sigmund Freud hanno evidenziato che l’attività ludica inizia quando il bambino prende coscienza dell’esistenza delle persone e delle cose che lo circondano.
Claparède ribadisce che un bambino che non sa giocare è in un adulto incapace non solo di pensare e di ragionare, ma anche di agire responsabilmente.
Fonte:http://www.ipbz.it/Generale/VisualizzaDescrSezione.aspx?area=6&id=739
giovedì 8 luglio 2010
martedì 6 luglio 2010
TEORIE PSICOLOGICHE/BIOLOGICHE
Queste teorie cercano di spiegare la ragione che spinge l’individuo a giocare:
1. Gioco come “sfogo” cioè il soggetto dispone di una così grande carica energetica che ha bisogno di scaricare, facendo qualunque tipo di gioco. È stato però osservato che a volte il bambino gioca anche dopo l’insorgere della stanchezza; inoltre la teoria, non spiega il motivo per cui un bambino sceglie un gioco piuttosto che un altro.
2. Gioco come residuo di funzioni ataviche, secondo cui il soggetto riproduce spontaneamente alcune attività che oggi appaiono inutili. Ad es. la lotta soddisfa una tendenza ancestrale; attuandola il soggetto se ne libera, in quanto considera l’avversario un partner indispensabile. Trascorrere giocando tra bambini molto tempo nell’infanzia aumenta le probabilità di socializzare soddisfacentemente da adulti. Ciò in base alle considerazioni teorizzate da Haeckel nella sua legge bio-genetica, secondo la quale lo sviluppo dell’individuo ricapitola l’evoluzione della specie (ad es. bambino = uomo primitivo). Questa teoria può, però, spiegare giochi come la lotta, la corsa, l’inseguimento, la caccia..., ma non può spiegare molti altri giochi frutto dell’imitazione dell’adulto da parte del bambino.
3. Gioco come sfogo e sviluppo, secondo cui da un lato esso sviluppa e conserva le funzioni utili alla vita adulta e, dall’altro, agisce come una valvola di sicurezza per scaricare l’energia di alcune tendenze antisociali che l’individuo si porta con sé dalla nascita.
4. Gioco come esercizio preparatorio, secondo cui l’attività ludica ha il compito di esercitare funzioni biologiche che saranno poi utilizzate nella vita adulta (ad es. il gattino salta sul gomitolo che gli rotola davanti e lo addenta, come in seguito farà col topo). Questa teoria è stata accettata da pedagogisti come Frobel, Claparède e Decroly.
Fonte: http://www.ipbz.it/Generale/VisualizzaDescrSezione.aspx?area=6&id=739
domenica 4 luglio 2010
I GIOCATTOLI
Spesso per tradurre in concreto le loro immaginazioni i bambini hanno bisogno di oggetti. Possiamo definire giocattoli “quei materiali che ispirano, sollecitano, stimolano il gioco”. Alcuni giocattoli (bambole, orsacchiotti, oggetti morbidi e caldi), secondo la maggior parte degli studiosi, sono insostituibili: essi rappresentano, per i bambini e le bambine, simbolicamente la figura del genitore e, nei momenti di frustrazione, gli amici con cui dialogare. I bambini durante il gioco si divertono, ma nello stesso tempo fanno qualcosa di serio, pur se gli adulti faticano a riconoscerlo. La televisione propone giocattoli che soffocano la spontaneità dei bambini, tutti devono giocare con gli stessi oggetti. È un condizionamento precocissimo all’uniformità, al subire la moda. Il giocattolo può facilitare la conoscenza della realtà contribuendo a liberare le capacità immaginative del bambino, sollecitando una «forte attività di rappresentazione mentale…». I giochi standard o imposti dal marketing uccidono l’immaginazione. Non c’è giocattolo che possa stimolare le capacità ludiche e creative del bambino e introdurlo al gusto di far da sé, di inventare, di giocare collocandosi nella prospettiva del “come se”, più degli elementi naturali (sabbia, acqua). Alcuni giochi possono essere occasione di autentico divertimento e stimolano la ricerca di compagni di gioco. Il valore di questi giochi è dovuto anche alla povertà dei materiali con cui sono costruiti. È proprio a causa della loro semplicità che lasciano grande spazio alla fantasia e, i bambini, di fantasia ne hanno da vendere. Al contrario i giochi moderni mettono da parte il bambino. Il giocattolo svolge un ruolo di facilitazione dello sviluppo del linguaggio gestuale e verbale; esso è bene che sia “un po’ incompleto” ma non grossolano, né troppo approssimativo riguardo alla fedeltà nella riproduzione della realtà, perché «il giocattolo incompleto stimola il bambino alla costruzione di accessori e quindi a sempre nuove e diverse situazioni di gioco». È superfluo ricordare che il bambino usa sia il materiale formale che informale o separatamente o insieme per costruire la “sua realtà”, il mondo del “come se…” di cui egli è indiscusso regista… Pertanto la qualità del giocattolo è data dalla qualità del rapporto che si instaura tra lui e “l’oggetto”. Per favorire un rapporto creativo tra il bambino, il gioco e il giocattolo è indispensabile riconoscere i bambini come soggetti attivi, originali, intraprendenti, attori della loro crescita e della loro educazione, desiderosi di crescere e di affermare la loro umanità.
Fonte:http://www.ipbz.it/Generale/VisualizzaDescrSezione.aspx?area=6&id=739
Immagine: http://images02.olx.it/ui/2/49/64/19244564_3.jpg
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